Medusa: dalla Dea Serpente al Mostro
Il racconto di un Femminile da sottomettere, reprimere, uccidere

Medusa è una figura che attraversa i secoli portando con sé un messaggio potente, disturbante, ma fondamentale. Una creatura liminale, che custodisce il confine tra il sacro e il profano, tra la vita e la morte, tra la conoscenza e l’oblio.
Oggi la conosciamo soprattutto come un mostro da cui fuggire, il volto che pietrifica. Ma se torniamo indietro, prima della sua decapitazione, prima ancora della sua “trasformazione” in mostro, ci troviamo davanti a tutt’altro: una divinità arcaica, una manifestazione del potere femminile ancestrale, incarnazione della Dea Serpente.
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Ogni testo nasce da un lavoro di ricerca, ascolto e connessione con i temi che amo esplorare: il sacro femminile, la ciclicità, le tradizioni rimosse, la riscrittura di ciò che ci è stato tramandato come “naturale”.
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Medusa, la soglia
Medusa incarna le qualità della Dea Serpente preellenica e prepatriarcale: è creatrice, distruttrice, rigeneratrice. I suoi tratti ci parlano di ciclicità e di mistero: la chioma di serpenti, la bocca spalancata, lo sguardo che immobilizza. Non è mostruosità, ma rivelazione: lo sguardo di Medusa non rappresenta una minaccia o una punizione (come spesso viene narrato nel mito patriarcale), ma un atto di verità irreversibile
La sua potenza è quella del sacro non mediato: un potere che non si lascia addomesticare, che non può essere controllato. Non a caso, molte interpretazioni (da Marija Gimbutas a Patricia Monaghan) vedono in Medusa una delle ultime espressioni visibili della Dea prepatriarcale, sopravvissuta nella narrazione greca in forma frammentata e distorta.
Da dea a trofeo: la decapitazione come gesto simbolico
Nel mito tramandato da Esiodo, Medusa viene decapitata da Perseo.
Una volta decapitata, la testa di Medusa non scompare.
Anzi, viene esibita.
Perseo la mostra come un trofeo. Atena se ne appropria e la fissa sul proprio scudo.
La testa della Dea, ridotta a simbolo di guerra.
Non più soglia sacra, ma arma.
Ma dal sangue che sgorga dal suo collo reciso – non dal ventre – nascono Pegaso, il cavallo alato, e Crisaore, il guerriero dalla spada d’oro.
Questi due simboli – cavallo e spada – non sono casuali. Sono i principali simboli della cultura patriarcale che si afferma in Europa a partire dal IV millennio a.C., come ha mostrato con rigore l’archeologa Marija Gimbutas.
La figura di Medusa, dunque, segna il passaggio da un sistema simbolico ciclico, orizzontale, connesso alla terra e al corpo, a un sistema verticale, gerarchico, guerriero.
E il messaggio è chiaro; la Dea Serpente non può sopravvivere nel nuovo paradigma bellicoso: va neutralizzata, demonizzata, annientata.
Le invasioni Kurgan
Tra il 4300 e il 2800 a.C., l’Europa antica viene travolta da tre ondate migratorie provenienti dalle steppe della Russia meridionale. Sono i popoli oggi noti come Kurgan, termine che Gimbutas conia a partire dalla forma a tumulo delle loro sepolture.
Queste popolazioni portano con sé una cultura guerriera, pastorale, patriarcale. Addomesticano il cavallo, lo utilizzano per la guerra: per la cultura Kurgan, il cavallo è un animale sacro, simbolo della loro inarrestabile avanzata e sottomissione delle comunità locali e pacifiche.
La loro società è stratificata, le tombe monumentali sono maschili, accompagnate da armi, oggetti d’oro e spesso dai corpi sacrificati di donne, bambini e animali.
Non esistono tombe individuali dedicate a figure femminili.
Il loro dio è un dio del cielo, del sole, del tuono: maschile, verticale, gerarchico. Le antiche divinità femminili della fertilità e della ciclicità vengono scalzate, i loro simboli cancellati o demonizzati. Le statuette della Dea Madre scompaiono. Le donne vengono relegate a ruoli riproduttivi e subordinati.
Questo è il mondo che nasce dalla morte di Medusa.
La mitizzazione della conquista
Nel mito, la decapitazione della Dea genera la cultura patriarcale. Non solo in senso narrativo, ma anche simbolico.
Pegaso – il cavallo – rappresenta il potere di spostamento, di conquista, di sorvolo.
Crisaore – il guerriero armato – è l’eroe che inaugura l’era della spada e della violenza ritualizzata.
E non a caso, i loro nomi si scolpiscono nel mito proprio nel momento in cui la testa della Dea viene separata dal corpo.
Questa narrazione segna la nascita di un nuovo ordine: la guerra, la gerarchia, il dominio del maschile.
Un ordine che, come dimostrano i dati archeologici, si impone sulle società gilaniche – comunità pacifiche, egualitarie, incentrate sul culto della Dea – che prosperavano in Europa nei millenni precedenti.
La doppia vittimizzazione: un mito ancora vivo
Ma prima ancora della spada di Perseo, Medusa subisce un’altra violenza.
Nelle Metamorfosi di Ovidio, viene raccontata come una bellissima giovane, stuprata da Poseidone nel tempio di Minerva. La reazione della dea? Punire Medusa, trasformandola in una creatura mostruosa.
È ciò che oggi chiameremmo doppia vittimizzazione: la vittima della violenza viene trasformata nella causa del proprio oltraggio.
E il suo corpo, il suo volto, il suo potere, diventano qualcosa da temere, da odiare, da rimuovere.
Un meccanismo che, purtroppo, non appartiene solo ai miti antichi. Ancora oggi, troppe donne che denunciano una violenza si ritrovano a dover giustificare il proprio corpo, il proprio abbigliamento, la propria presenza. Nei tribunali, nei media, nelle narrazioni sociali.
Da trofeo di guerra a guida simbolica
Dopo la decapitazione, la testa di Medusa viene utilizzata come arma. Atena la fissa sul proprio scudo: la potenza sacra diventa potere bellico.
Il volto della Dea non protegge più i vivi, ma viene impiegato per spaventare, pietrificare, vincere.
È il destino di molti simboli del Femminile Sacro: trasformati in mostri, in streghe, in peccato, per neutralizzare ciò che non può essere controllato.
Medusa non è sola
Nel lungo processo di demonizzazione del femminile, Medusa non è un caso isolato. La sua sorte è condivisa da molte altre figure simboliche, scolpite nella pietra e poi condannate all’oblio.
Tra queste ci sono le Sheela-na-gig, enigmatiche figure scolpite sulle chiese romaniche d’Europa, con i genitali esibiti in modo esplicito e sacro. Come Medusa, anche loro sono guardiane, poste sulle soglie, sui portali, nei luoghi di passaggio — a protezione, a monito, a memoria.
Come Medusa, sono state demonizzate.
Non è un caso che le Sheela hanno ereditato molto dell’arcaico simbolismo di Medusa.
Se vuoi approfondire questo tema, ti invito alla conferenza online:
“Sheela-na-gig: Streghe di Pietra, Dee della Soglia”
→ Un viaggio tra simboli, rimozioni e resistenze del sacro femminile scolpito nella pietra.📅 La conferenza è strutturata in due incontri in diretta su Zoom, ognuno con contenuti diversi. Entrambi gli incontri sono registrati e le registrazioni saranno disponibili per tutte le persone iscritte:
° 21 maggio dalle ore 20:00
° 28 maggio dalle ore 20:00🎟️ Per informazioni e iscrizioni, clicca qui o scrivi a donneincerchio@gmail.com
Ti aspetto per continuare insieme questa esplorazione.
Molto interessante e ben documentato. Sto lavorando a un post con lo stesso filone di ricerca per un appeofondimento della leggenda di Melusina, anche lei donna serpente. Se vuoi leggere la mia versione della storia intanto la trovi qui https://grandine.substack.com/p/melusina?r=1uqohq
Mi interesserebbe tantissimo un tuo parere. Grazie